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Il vino nel medioevo

 

     La viticoltura cominciò a decadere dopo il trasferimento della capitale a Bisanzio e a seguito delle invasioni barbariche (400-500 d.C.), che portarono all'abbandono della campagne ed anche della coltura della vite.
      Dall'anno 400 all'800 la viticoltura, come l'agricoltura tutta, fu in piena decadenza ed in molti luoghi si abbandonò la sua coltivazione e la produzione ed il consumo di vino furono in forte declino.
      Durante il regno dei Longobardi (568-771 d.C.) continuò l'abbandono quasi totale della viticoltura, che fu  praticata quasi esclusivamente nei sobborghi e nelle vicinanze delle grandi città.
Un ulteriore ridimensionamento della viticoltura si ebbe durante il periodo d'influenza araba (600-1000 d. C.). Il Corano non vietava la produzione di uva,  bensì  il consumo di alcool.  Ma la facilità di ottenere vino dall’uva indusse, in  quei tempi di particolare severità religiosa, lo sradicamento di una grande quantità di vigne ed il risultato fu la rovina di molti importanti vigneti.
      Con la caduta dell'impero la Francia divenne la vera dominatrice del periodo medioevale.
      I vini di qualità divennero un ricordo di tempi antichi.
      Per fortuna con l'avvento del Cristianesimo la viticoltura ebbe ottimi protettori nei religiosi di ogni ordine e soprattutto nei Benedettini, in considerazione del valore simbolico che era attribuito al vino.
Durante il Medioevo i conventi e le abbazie divennero veri e propri centri vitivinicoli. I vigneti venivano piantati scavando solchi profondi con l'aratro ed utilizzando dei "maglioli", ossia tralci dell'anno prima, oppure barbatelle. Si usava anche il sistema della propaggine.
      L'uva continuava a essere pigiata con i piedi. Le grandi tenute dei nobili e della chiesa disponevano di torchi per estrarre il mosto rimasto nelle vinacce (15-20%). Il vino di torchio, più ricco di tannini e di colore, consentiva un più lungo invecchiamento; il tannino rendeva però il vino poco adatto ad un pronto consumo. In genere il vino era lasciato sulle feccie (cellule morte di lieviti). Già nel periodo primaverile la maggior parte dei vini cominciava ad alterarsi e il loro prezzo si abbassava, per cui si cercava di vendere i vini il più presto possibile dal loro ottenimento per spuntare prezzi migliori.
      Questo problema della conservazione, sorto nel II secolo con la sostituzione delle anfore sigillate con le botti di legno, si prolungò fino al XVII secolo, ossia fino a quando non s'introdusse l'uso delle bottiglie di vetro, ma principalmente del tappo di sughero. Fino ad allora, infatti, le bottiglie venivano chiuse con un tappo di legno avvolto nella stoppa.
      La bottiglia, però, veniva utilizzata per contenere profumi; essa non era ancora idonea al trasporto e alla conservazione del vino. Le bottiglie di vetro dell'epoca, non contenendo piombo, erano molto fragili. L'uso della bottiglia per il servizio da tavola risale al XVI secolo e ne sono prova dipinti di Paolo Veronese, del Tintoretto e di altri, che mettono in evidenza bottiglie, coppe e calici disposti sulle tovaglie. Si tratta spesso di bottiglie decorate.
      Fino agli inizi del XVII secolo sulla tavola c'era un solo bicchiere per tutti; nelle famiglie agiate un bicchiere per due - tre persone ed era buona norma asciugarsi la bocca con il tovagliolo prima di bere nel bicchiere comune.
      La forma di bicchiere più usata era il "gobelet", ossia il calice con gambo più o meno sottile.
     Il cattolicesimo ereditò le tradizioni pagane e facilitò l'impianto e la coltivazione dei vigneti in situazioni talvolta molto difficili (Bretagna, Normandia, Inghilterra, Belgio). I religiosi continuarono a coltivare la vite estendendo e incoraggiando la sua coltivazione nelle regioni dove si recavano. Essi facevano esperimenti e studi interessanti.
      E' stato un monaco francese, Dom Pèrignon (1638-1715), a scoprire nell'anno 1668, nell'Abbazia di Hautvillers nei pressi di Reims, il segreto della "champagnizzazione" e a produrre, servendosi di uve nere, il primo vino bianco spumante, da cui poi ebbe origine in Francia, nella Champagne, la produzione dello "Champagne". Allora egli aveva costatato che i vini bianchi, soprattutto quelli prodotti con le uve Pinot, avevano tendenza a rifermentare in primavera con il ritorno dei primi caldi. Mise allora a punto una tecnica di ammostatura soffice e celere ed ebbe l'idea di fermentare il vino in bottiglia e in cantine interrate, per renderlo frizzante e mantenerlo giovane. Rimaneva, però il problema della fragilità delle bottiglie e della scarsa conoscenza del processo fermentativo e quindi del giusto dosaggio del residuo zuccerino per la presa di spuma. Per la produzione industriale dello champagne fu necessario pertanto attendere nuove acquisizioni della scienza e della tecnica.
      Nel frattempo la necessità di disporre di vino genuino, per la celebrazione quotidiana della Santa Messa, contribuì largamente alla espansione della viticoltura; i missionari, conquistando nuovi territori alla religione cristiana, favorivano l'impianto dei vigneti per avere il vino sul posto. Fino al Duecento - Trecento, durante la celebrazione della messa, il vino era, infatti, bevuto non solo dal prete, ma anche, e pare abbondantemente, da tutti i partecipanti al rito.
      I monaci dell'epoca cercavano di produrre vini di buona qualità e di avere buone rese unitarie, anche per accrescere le entrate dei loro ordini. E' per questo motivo che numerosi "crus" francesi (Chateauneuf-du-Pape, Clos de Bèze, La Roche-au-Moines, ecc.) hanno origine ecclesiastica.
Fra il 500 e il 1000 anche la nobiltà contribuì alla diffusione e conservazione della viticoltura. Bere vino all'epoca era espressione tangibile della dignità sociale; la nobiltà e le classi emergenti erano orgogliose di offrire nei banchetti vini prodotti nei loro vigneti.
      Nel nord Europa i vigneti venivano coltivati soprattutto lungo i fiumi, dato il diverso costo del trasporto su acqua e su strada.
      Dopo la Pace di Costanza (1183), vi fu un leggero risveglio nell'agricoltura e una notevole ripresa del settore vitivinicolo. A quell'epoca erano noti e ricercati il Greco di Napoli, il Turpia e il Cutrone di Calabria, il Patti di Sicilia.
      Nell'epoca rinascimentale vi fu un grande interesse per i pregiati, forti, aromatici e dolci vini mediterranei. Ciò favorì l'esortazione e gli scambi commerciali con i Paesi del nord Europa, che prediligevano i suddetti vini. Oltretutto questi vini non inacidivano ed erano di facile conservazione.
      Si diffusero, pertanto, le viti a frutto più o meno aromatico, le cosiddette "uve greche",           particolarmente adatte, salvo rari casi, ai terreni a clima temperato-caldo, mentre elle regioni settentrionale, per ottenere i suddetti vini, si ricorse all'appassimento delle uve. Tra il XII e il XVI secolo la Repubblica di Venezia ebbe il monopolio del commercio di tali vini dolci provenienti dai paesi meridionali e dalle isole, in particolare dalla Sicilia, da Cipro, da Creta e dalle isole Greche e con destinazione principale i ricchi mercati del Nord Europa: vini ottenuti dalla vinificazione di uve appassite al caldo sole del sud; vini che, ai nostri giorni e in ambito nazionale, sono noti con i nomi di: Moscato Passito dell'Isola di Pantelleria, Malvasia delle Lipari, di Bosa, Primitivo di Manduria, Greco di Gerace.
      Nel XV e XVI sec. Venezia diventò il più grande mercato di vini del Mediterraneo. Essa non si limitava a importare e commercializzare Malvasia ma aveva anche il monopolio dei vini dell'Adriatico e dell'entroterra veneziano. Nella Dalmazia, a Istria, a Fiume e nelle isole circostanti era molto diffusa la malvasia e la pratica di appassire le uve per ottenere vini alcolici e dolci.
      Il 1453 segnò, però, la caduta dell'Impero romano d'Oriente; in quell'anno Costantinopoli era stata conquistata dai Turchi e il monopolio veneziano sul commercio del vino dolce nel Mediterraneo orientale era in pericolo. Il Blocco dell'importazione dall'Oriente da parte dei Turchi spinse i veneziani a incoraggiare la loro produzione nella madrepatria. Essi favorirono l'impianto di nuovi vigneti nei territori intorno a Verona, a Padova e nel Friuli, a Bardolino, a Soave e nella Valpolicella e consigliarono l'appassimento delle uve per produrre vini ad elevata gradazione alcolica.
      Si diffuse così nel Veneto la tecnica dell'appassimento delle uve e la produzione dei "Recioto", ossia dei vini dolci bianchi (Recioto di Soave) e rossi (Recioto della Valpolicella), a sapore semplice, ottenuti dalla vinificazione delle "recie" (le ali dei grappoli), che presentavano una maggiore concentrazione zuccherina.
      Verso la fine del 1400 anche a Firenze le nobili famiglie di banchieri degli Antinori e dei Frescobaldi cominciarono a interessarsi al commercio del vino in contrapposizione a Venezia. Nel frattempo sempre più accanita diventava la concorrenza dei vini dolci, tipo malvasia, proveniente dalla Spagna e dal Portogallo.
      Nel XIV e XV secolo l'espansione dell'Impero ottomano nel Mediterraneo orientale e l'espulsione dei Mori dalla Spagna, spostarono la fonte di rifornimento dei vini dolci e molto alcolici dal Mediterraneo orientale verso la penisola iberica. La Spagna esportava in Inghilterra principalmente il sack o seck, vino dolce e di elevata gradazione alcolica, che si produceva prima dell'attuale sherry, nonché il vino delle Canarie, dove gli spagnoli, alla fine del 1400 avevano piantato viti portate da Creta. Venezia non era più in grado di assicurare il suo commercio con l'Oriente e di garantire, all'Europa e in particolare all'Inghilterra, il rifornimento di vini dolci e di altri tipi di vino. Di ciò si avvantaggiarono i vini spagnoli, specialmente a seguito del matrimonio di Enrico VIII d'Inghilterra con Caterina d'Aragona figlia dei re cattolici di Spagna. I rapporti tra Inghilterra e Spagna, però, cambiarono nel 1533 quando Enrico VIII non avendo ottenuto il consenso al divorzio dal Papa, si sposò ugualmente con Anna Bolena e, con atto di supremazia, nel 1534 staccò la chiesa inglese da Roma e si proclamò suo capo.
      A partire dal 1537 nell'isola di Madera, che i Portoghesi avevano scoperto nel 1418, erano state introdotte varietà di viti provenienti dalle isole di Cipro e di Candia, i cui vini erano già molto apprezzati. Pertanto, nel 1571, quando Cipro cadde in mano ai Turchi, nessuno sentì la mancanza dei suoi vini.
Il commercio del vino era già passato nelle mani degli olandesi; Rotterdam era diventato il porto principale e, nel 1650, l'Olanda possedeva la più grande flotta mercantile. Gli olandesi compravano vino da chiunque, anche dalla Spagna con la quale erano in guerra, e riuscivano a mantenere rapporti commerciali con i Turchi, rifornendosi di vino greco. Essi, da buoni commercianti spesso senza scrupoli, s'interessarono di tutte le bevande alcoliche. Grande interesse ebbero per i vini ordinari da distillare, in quanto si dedicarono al commercio del "brandy". Ricercavano pertanto zone viticole nelle quali, oltre a trovare vini ordinari in quantità e a buon mercato, fosse possibile reperire con facilità legna da usare come combustibile per gli alambicchi e per costruire botti: ciò farà in Francia la fortuna di zone quali l'Armagnac e la Charante (in cui si produce il Cognac).
      Gli olandesi usavano le acquaviti anche per stabilizzare i vini dolci e impedire che continuassero a fermentare durante il trasporto, così come per rinforzare gli stesi ed evitare che si alterassero. Essi introdussero anche l'uso dello stoppino immerso nello zolfo e fatto bruciare nel fusto prima di riempirlo. Si diffuse così l'uso degli stoppini solforati. In Spagna, invece, per rendere meno alterabili i vini esportati era uso aggiungere vini cotti.