logo    Enologia   

 Ammostamento / Principali componenti del mosto / tipi di mosto / Analisi del mosto / importanza dei principali costituenti del mosto / correzione del mosto/ Microrganismi nel mosto

ammostamento

Ammostamento

 

              Pigiatura con i piedi


Lo schiacciamento o pigiatura dell'uva per mezzo dei piedi, nudi o vestiti di calzari adatti, è il metodo più antico e tradizionale per estrarre dagli acini il mosto da trasformare in vino, anche se ormai si preferisce quasi dappertutto la pigiatura meccanica con macchine apposite. Tale preferenza è tuttavia determinata solo da motivi economici e, soprattutto, igienici; tecnicamente, invece, la pigiatura con i piedi rimane insuperata per la leggerezza e sofficità dello schiacciamento, con cui si evitano gli eccessivi spappolamenti delle bucce e la rottura degli acini acerbi, ottenendo un mosto con poca feccia che darà un vino di particolare morbidezza. Lo schiacciamento con i piedi è quindi un metodo di pigiatura ancora accettabile, e per certi aspetti preferibile, nelle cantine familiari in cui si lavorino piccole partite d'uva. Occorre però ricordare qualche precauzione necessaria per una corretta esecuzione del lavoro e un risultato soddisfacente: il mosto appena uscito dagli acini deve essere subito allontanato dalla massa d'uva soggetta alla pigiatura, che tenderebbe altrimenti a scivolare sotto i piedi, perciò l'ammostamento va fatto in un recipiente che, attraverso un falso fondo, permetta tale separazione immediata (allo stesso scopo in Sicilia furono costruiti i "palmenti", vasche di pietra o di cemento con il fondo inclinato); inoltre è opportuno che il mosto sia subito immesso nei tini o nelle vasche di fermentazione in modo che questa abbia presto inizio, poichè la permanenza all'aria ne causerebbe l'ossidazione con effetti dannosi alla qualità del vino; per l'eventuale diraspatura dell'uva prima della pigiatura si possono soffregare i grappoli contro le maglie di una rete metallica (o di plastica) che lasci passare gli acini trattenendo i raspi.


Pigiatura con le macchine


          I problemi igienici e altri inconvenienti della pigiatura con i piedi, come la lentezza del lavoro o la scarsa omogeneità è completezza dello schiacciamento, sono stati  risolti o superati per mezzo delle macchine pigiatrici, con notevoli risparmi di tempo e fatica. Per le aziende enologiche minori, di tipo familiare e artigianale, esistono pigiatrici di piccole dimensioni che hanno una capacità lavorativa oraria di alcuni quintali e schiacciano l'uva facendola passare tra due cilindri scanalati, rotanti in senso opposto l'uno contro l'altro; queste macchine si possono collocare e usare direttamente sopra i tini o le vasche di fermentazione, oppure sopra le gabbie dei torchi nel caso di uve bianche, in modo da separare subito la parte migliore del mosto (mosto fiore) dalle parti solide dell'luva pigiata (raspi, bucce e vinaccioli). 
     Per ottenere mosti con minori quantità di parti solide in sospensione, e quindi vini più morbidi e ccon meno feccia, si può evitareche i raspi dei grappoli vengano pigiati insieme con gli acini adoperando una macchina diraspapigiatrice, che esegue appunto tale separazione prima della pigiatura. 
     Per l'ammostamento delle uve bianche, ma anche per la produzione di vini bianchi o rosati da uve rosse, esistono moderne macchine con elevata capacità lavorativa oraria: si tratta di torchi o presse che eseguono pigiature piuttosto soffici, senza frantumare le bucce degli acini e separando subito il mosto liquido dalle parti solide (anche in questo caso è opportuno che il mosto sia trasferito al più presto nei recipienti di fermentazione). Le presse, in particolare, possono essere riempite con grandi quantità  di grappoli d'uva interi, direttamente dalle ceste o cassette di raccolta usate per la vendemmia. 

Diraspatura

          Con la separazione dei raspi dal mosto prima della fermentazione, o addirittura dagli acini prima dell'ammostamento, si ottengono vini meno tannici, cioè meno duri, ma più acidi; inoltre il processo fermentativo si svolge più lentamente poichè si ha una minor quantità di aria nella massa che fermenta.
     La fermentazione con decorso più lento è auspicabile nelle zone meridionali, pechè consente una maggiore dispersione del calore che ne deriva e che potrebbe danneggiare la buona riuscita del vino.
La presenza dei raspi nel mosto in fermentazione è invece utile quando si voglia ottenere un vino di lunga conservazione, in cui il tannino ceduto dai raspi è tra i più importanti componenti necessari per un buon processo di maturazione e invecchiamento

Sgrondatura

          Per ottenere vini bianchi o rosati, scarichi di colore e di corpo, occorre separare dal mosto appena estratto le parti solide rimaste in sospensione nel liquido. Tale separazione può essere fatta per mezzo di macchine sgrondatrici, oppure chiarificando il mosto mediante centrifugazione ad alta velocità (4000-5000 giri/minuto); in entrambi i casi si otterrà un mosto meno torbido, da cui sarà più facile ricavare vino di particolare limpidezza.


Principali componenti del mosto


          Per comprendere meglio il processo di trasformazione del mosto in vino, e per meglio conoscere il vino stesso, è utile sapere quali sono i principali componenti che costituiscono il mosto e le rispettive quantità mediamente presenti in un litro di liquido. Occorre ricordare che nel mosto sono stati finora trovati 600 componenti diversi e oltre a 2500 sostanze aromatiche.

Tipi di mosto

         Prima che abbia inizio la fermentazione che lo trasformerà in vino, il succo ricavato dalla pigiatura dell'uva può essere sottoposto a particolari trattamenti per ottenere diversi tipi di mosto, utili a determinati scopi, come il mosto concentrato, il mosto muto, il filtrato dolce, il mosto cotto ecc.
     Il mosto concentrato si ottiene mediante disidratazione, poichè eliminando acqua si ha come conseguenza un aumento percentuale del contenuto zuccherino del mosto. A questo scopo si usano macchine apposite (concentratori) in cui l'acqua viene separata dagli altri componenti trasformandola in ghiaccio, con una refrigerazione del mosto a  -10  °C; oppure per evaporazione, scaldando il mosto a 30-40 °C sottovuoto o per 10 secondi a 105 °C; si ottengono così mosti concentrati il cui contenuto di zuccheri può arrivare al 50-70%, ma con gli attuali processi tecnici si tende ad aumentare ancora la concentrazione per avere un mosto assolutamente privo di acqua, costituito di solo zucchero d'uva (mosto concentrato rettificato, o M.C.R.).
     Il mosto muto è quello in cui non può avvenire la fermentazione alcolica dello zucchero; si ottiene aggiungendo al mosto determinate quantità di anidride solforosa (da 1a 5 grammi per litro), che inibisce l'attività di tutti i microrganisci, oppure di alcol (12-15%), con effetti analoghi. In questo modo si può conservare inalterato il mosto appena estratto dall'uva, per trasportarlo in luoghi lontani da quello d'origine; giunto a destinazione, il mosto muto dovrà poi essere desolfitato (con apparecchi desolforatori) affinchè i lieviti possano riprendere la loro normale attività e trasformare lo zucchero in alcol.
     Il suddetto trattamento si usa di solito per i mosti ricavati da uve meridionali, ricche di zucchero, che vengono inviati al nord per la correzione di mosti poco zuccherini.
Un altro tipo di mosto non fermentabile è il filtrato dolce, che si ottiene dopo un parziale inizio di fermentazione, mediante successive filtrazioni con cui vengono eliminati i lieviti e le sostanze azotate.
     Per la preparazione di alcuni vini particolari (come per esempio il Marsala) si usa il mosto cotto, ottenuto facendo bollire il mosto in apposite caldaie perchè assuma quel colore, odore e sapore caratteristici che il vino dovrà avere. 
     Il mosto che viene conservato invece di essere avviato alla normale fermentazione dovrebbe essere privo di contenuto alcolico, perchè l'alcol non è pesente nell'uva e si forma solo con la fermentazione dello zucchero. Tuttavia l'azione dei lieviti sullo zucchero dell'uva ammostata incomincia quasi subito, e processi fermentativi parziali, benchè minimi, possono ancora avvenire anche nei mosti conservati a basse temperature per qualche tempo; ciò accade, per esempio, nelle grandi aziende produttrici del Moscato dìAlsti, dove la vinificazione viene attuata poco per volta secondo le esigenze di mercato e il mosto inutilizzato è tenuto in apposite vasche refrigerate. 
     La legge tollera una quantità massima dell'1% di alcol nel mosto conservato (0,5% nel mosto concentrato rettificato); se il contenuto alcolico supera tale limite, rimanendo però inferiore ai 3/5 di tutto l'alcol che si avrebbe dopo una fermentazione completa, il mosto è detto "parzialmente fermentato", ed è simile al filtrato dolce. 
     Il Moscato d'Asti pur avendo un contenuto alcolico inferiore ai 3/5 di tutto l'alcol che si potrebbe formare è considerato vino e non mosto, secondo la legge che prevede questa eccezione.

Analisi del mosto

          Il mosto da trasformare in vino deve essere analizzato, prima che abbia inizio la fermentazione, per conoscerne la composizione e potere quindi rimediare a eventuali carenze.
    Vediamo ora come si determina il contenuto percentuale dei componenti più importanti, che sono sopratutto gli zuccheri, gli acidi e le sostanze azotate.


Zuccheri

     Il contenuto zuccherino del mosto può essere determinato in tre modi.
1) Mediante un densimetro o mostimetro. Questo strumento è costituito da un'asta graduata che, immersa in un cilindro contenente mosto, affonda più o meno secondo la densità del mosto stesso, in modo inversamente proporzionale: quanto più il mosto è denso, cioè la percentuale di zucchero è elevata, tanto minore sarà l'affondamento dell'asta graduata, e viceversa. La quantità di zucchero è indicata dal mumero che si legge sull'asticella a livello della superficie del mosto. I mostimetri più diffusi sono il tipo Babo (di gran lunga il più usato in Italia) e il tipo Guyot.
2) Mediante un rifrattometro. Sono sufficienti, in questo caso, alcune gocce di mosto che, messe nello strumento, consentono l'immediata lettura della percentuale di zucchero.
3) Mediante l'analisi chimica. Questo metodo di determinazione del contenuto zuccherino, a differenza dei due precedenti, può essere usato solo in laboratorio: si tratta di un metodo preciso ma piuttosto laborioso per cui occorre la competenza di un tecnico specializzato. Nella pratica commerciale si usa indicare il contenuto di zucchero in gradi Babo o gradi zuccherini.   
     Parlando di mosti concetrati è consuetudine esprimere il contenuto zuccherino in gradi baumè o, abbreviando, gradi Bè corrispondono a una densità di 1,320 che significa 77% di zuccero in volume (e 58,35% in peso).

acidità totale

     L'acidità viene determinata aggiungendo al mosto una sostanza alcalina (basica) come, per esempio, l'idrato di sodio (o soda). Immergendo nel mosto una sostanza detta indicatore, questa cambia di colore (si dice che "vira") quando tutti gli acidi del mosto sono neutralizzati dalla sostanza alcalina; s'interrompe allora l'aggiunta di soda, si ne annota la quantità utilizzata e, in rapporto a detta quantità, con un semplice calcolo si risale al totale degli acidi presenti nel mosto.
     L'aggiunta di una base per neutralizzare un acido è detta "titolazione".

Sostanze azotate

     Poichè le sostanze azotate costituiscono l'alimento fondamentale per i lieviti è opportuno conoscere la quantità presente nel mosto; a questo scopo è però necessaria un'analisi chimica che può essere fatta solo da un tecnico in un laboratorio, anche perchè è importante conoscere la quantità di azoto ammoniacale contenuta nel mosto in esame, essendo le sostanze azotate di più rapida assimilazione.

Importanza dei principali costituenti del mosto

Zuccheri. Il contenuto di glucosio e fruttosio negli acini di uva matura può arrivare fino al 30% nelle regioni meridionali, mentre in quelle settentrionali varia, secondo il clima, fra il 15 e il 22%. Dopo l'ammostamento dell'uva queste sostanze dolci subiscono la fermentazione per opera di microscopici funghi, i lieviti, producendo alcol etilico; perciò dal contenuto di zuccheri degli acini d'uva dipende direttamente la quantità di alcol nel vino che si ottiene dal mosto fermentato. Gli altri zuccheri presenti nel mosto non sono dolci e non fermentano; inoltre sono in quantità minime, del tutto trascurabili nella lavorazione del vino e prive di effetti sul suo sapore.
Sostanze pectiche (pectine), gomme e mucillagini. Tutte queste sostanze possono essere causa di intorbidimenti e vengono perciò separate dal mosto o dal vino mediante filtrazione o chiarificazione o centrifugazione; la loro presenza in quantità minime è tuttavia tollerabile e può anche contribuire alla morbidezza del vino.
Acidi. I componenti acidi del mosto sono particolarmente utili e importanti sia per i loro effetti sul gusto del vino, sia per la protezione che svolgono, contrastando la vita dei microbi e permettendo una buona fermentazione del mosto. Possono subire trasformazioni per attacco dei batteri e, in maniera minore, dei lieviti.
Polifenoli. Sono astringenti, hanno gusto leggermente amaro, svolgono azione di vitamina P e possono provocare intorbidamenti al vino. Ci sono vari tipi di polifenoli: Flavoni . Danno il colore all'uva bianca ma sono presenti anche nell'uva rossa; Antociani. Danno il colore all'uva rossa e al vino rosso; Leucoantociani. Sono ritenuti responsabili del colore del vino bianco; Tannini. Contribuiscono al colore del vino bianco e di quello rosso e sono, tra tutti i polifenoli, i più astringenti.
Sostanze azotate. Costituiscono un alimento indispensabile per quei microrganismi (lieviti) da cui dipende la fermentazione alcolica degli zuccheri; una loro carenza può  infatti impedire l'avvio della fermentazione oppure la sua normale continuazione e conclusione. Possono tuttavia essere causa di intorbidamenti nel vino.
Aromi. Sono presenti in minime quantità nelle cellule interne delle bucce e in parte nella polpa di tutte le uve, e particolarmente abbondanti nelle uve dette aromatiche, come nel caso delle uve Moscato, Malvasia, Brachetto, Traminer ecc.
Vitamine. Sono quasi tutte presenti nel mosto e sono utili ai lieviti (per la loro crescita e moltiplicazione). Notevole è la quantità di vitamina P.
Elementi minerali. Combinandosi con gli acidi formano i sali, che rendono sapido il gusto del vino; molti di essi sono indispensabili per il nutrimento dei lieviti, mentre altri (potassio, calcio, ferro e rame) possono provocare intorbidamenti al vino.
Enzimi. Sono sostanze proteiche prodotte da ogni cellula vivente, perciò ci sono enzimi prodotti nell'uva e altri derivanti dai lieviti e dai batteri. Queste sostanze servono a stimolare e accelerare tutte le reazioni chimiche e la loro azione è determinante in ogni cambiamento che avviene nel mosto e nel vino. In particolare, la zimasi alcolica è l'insieme degli enzimi che intervengono nella fermentazione alcolica, cioè nella trasformazione degli zuccheri in alcol.

Correzioni del mosto

Aumento dello zucchero o arricchimento

Affinchè il vino possa essere commercializzato, la legge del Mercato Comune (che vale anche in Italia come in ogni Stato menbro) prescrive che contenga almeno il 9% di alcol (cioè 9 gradi alcolici). Siccome il 60% (circa) dello zucchero diventa alcol in seguito alla fermentazione alcolica, è necessario che il mosto contenga almeno il 15 % di zucchero; tuttavia è consentito che le uve prodotte in certe zone abbiano anche una gradazione zuccherina inferiore, purchè poi lo zucchero nel mosto venga aumentato con opportune correzioni. A questo punto l'Europa è stata suddivisa in varie zone viticole, secondo il clima:

 

Zone viticole  Europee

     Zone
   viticole

Territori compresi
    A Germania (parte), Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi, Regno Unito
    B Germania (parte) e Francia (parte)
   CIa Francia (parte)
   CIb Italia (province di Sondrio, bolzano, Trento, Belluno, Aosta)
   CII Francia (parte) e Italia (le regioni non comprese nelle zone CIb e CIIIa)
  CIIIa Francia (parte) e Italia (Calabria, Basilicata, Puglia, Sardegna e Sicilia)
  CIIIb Grecia

I valori sono quelli riportati di seguito

Zona Vini da
tavola
Vini
di qualità
A
5
6,5
B
6
7,5
CIa
7,5
8,5
CIb
8
9
CII
8,5
9,5
CIII
9
10

Quindi nella zona A le uve devono contenere circa l'8,5% di zucchero per poter essere vendemmiate, perchè solo con tale dose zuccherina potranno originare un vino col 5% di alcol.
Nella zona B le uve dovono avere almeno il 10% di zucchero; nella zona CIa, almeno il 12,5%; nella zona CIb circa il 13,2%, nella  CII circa il 14% e nella zona CIII il 15%.
Tali valori valgono per le uve destinate a diventare vini da tavola, mentre per le uve destinate a diventare vini di qualità le percentuali minime di zucchero sono superiori.
Negli altri Paesi del Mercato Europeo è consentito lo zuccheraggio del mosto, ma in Italia questa pratica è lecita solo per il Vermut e lo Spumante; in tutti gli altri casi, per aumentare il contenuto zuccherino del mosto si ricorre a uno dei seguenti sistemi:
---aggiunta di un mosto più ricco di zucchero;
---aggiunta di un mosto concentrato;
---aggiunta di un mosto concentrato rettificato;
---concentrazione del mosto mediante riscaldamento oppure raffreddamento.
La mescolanza di mosti differenti è chiamata "taglio", e si esegue dopo avere calcolato le quantità relative dei due mosti (quello con poco zucchero e quello, più ricco, da usare per la correzione) con la cosidetta "regola del taglio", schematizzata nella formula:

A                                  (B - C)
C
B                                  (C - A)

Dove A è il grado zuccherino del mosto da correggere, B è quello del mosto concentrato da aggiungere e C è il grado zuccherino che si vuole ottenere, (B - C) è il numero delle parti di mosto da correggere con (C - A) parti di mosto concentrato, per avere il risultato voluto. Per esempio, avendo un mosto di 14° zuccherini e desiderando elevarne la percentuale di zucchero fino a 16°, tagliando con un mosto concentrato di 70° zuccherini, vale lo schema seguente:


                          14                             54  (derivante da (70 - 16)parti di mosto da correggere
                                          16
                          70                             2    (derivante da (16 - 14) parti di mosto concentrato

Quindi per aumentare il grado zuccherino da 14 a 16, utilizzando mosto concentrato con 70° zuccherini, si miscelano 54 parti da correggere con 2 parti di mosto concentrato, ottenendo un totale di 56 (cioè 52 più 4) parti di mosto con 16 ° zuccherini.



Aumento dell'acidità

     In un mosto poco acido i vari microrganismi si riproducono in modo indiscriminato, causando una fermentazione irregolare e varie trasformazioni inopportune; inoltre un vino poco acido non si conserva bene ed è facilmente soggetto alle infezioni batteriche. E' perciò preferibile che l'acidità del mosto sia elevata, e se necessario può essere aumentata con l'aggiunta di acido tartarico oppure mediante taglio con un mosto più acido.

Diminuzione del colore

     La necessità di ridurre il colore del mosto può presentarsi quando si voglia ottenere vino bianco da uve rosse, oppure da un uvaggio di uve rosse e bianche (es. Champagne); anche con una pigiatura molto soffice, è inevitabile che dalla rottura delle bucce derivi una certa quantità di sostanze coloranti (antociani),  sufficiente a tingere il mosto; per eliminarle si può aggiungere e disperdere nel mosto una piccola quantità di carbone decolorante, che trattiene tali sostanze e potrà quindi essere separato dal mosto insieme con esse, mediante filtrazione.

Aumento delle sostanze azotate

     Una carenza di sostanze azotate (alimento fondamentale per i lieviti) rende stentata la fermentazione, che può anche arrestarsi dopo un breve avvio; infatti se non si interviene per tempo ad aggiungere le sostanze azotate i lieviti non sono più in grado di continuare la fermentazione, e la conseguenza sarà un prodotto poco alcolico e ancora dolce, facilmente alterabile per opera dei batteri. La legge consente perciò di aggiungere nel mosto sostanze azotate, quando sia necessario, sotto forma di sali ammoniacali (fosfato biammonico).


Microrganismi nel mosto

    

     Sull'uva matura che si raccoglie con la vendemmia sono presenti lieviti, batteri e muffe, distribuiti su tutte le parti dei grappoli ma trattenuti specialmente dalla pruina che copre le bucce degli acini; gli stessi microrganismi sono presenti in abbondanza anche nelle cantine in cui avviene la vinificazione.
Lieviti. I lieviti sono microscopici funghi unicellulari (costituiti da una sola cellula) che si riproducono molto rapidamente e, in mancanza di ossigeno, sopravvivono nel mosto a spese dello zucchero, trasformandolo in alcol e anidride carbonica; sono perciò gli agenti della fermentazione alcolica, ossia della trasformazione del mosto in vino. Ne esistono di varie specie, ma i più diffusi e resistenti sono i saccaromiceti o lieviti ellittici, che sono anche i più importanti per la fermentazione; abbondanti nel mosto sono anche i lieviti apiculati (a forma di limone), che danno inizio alla fermentazione ma producono poco alcol (e con minor resa di trasformazione) e molto acido acetico, causando odore e sapore sgradevoli. Nella pratica moderna di parecchie vinificazioni si usano, secondo le necessità, lieviti selezionati, per esempio per fare lo spumante, per ottenere un'alta gradazione alcolica ecc.; tali lieviti, chiamati anche "lieviti di avviamento" o "pied-decuve", vengono aggiunti al mosto (dopo averlo pastorizzato) in quantità sufficiente a sopraffare i lieviti indigeni presenti inizialmente, affinchè non interferiscano nella fermentazione.
Batteri. Sono anch'essi microrganismi unicellulari, ancora più piccoli dei lieviti (2-10 volte), misurando circa un millesimo di millimetro. Quasi tutti i batteri sono dannosi e possono causare varie malattie al vino; tuttavia alcuni di essi (batteri lattici) operano un processo utile in molti casi, la fermentazione malolattica, cioè la trasformazione dell'acido malico in acido lattico, con cui viene diminuita l'acidità del vino.
Muffe (Peronospora, Oidio, Muffa grigia ecc.). Sono microrganismi pluricellulari che si rivelano dannosi all'uva, arrecandole danni qualitativi e quantitativi, oppure si insediano nei contenitori vinari e, passando nel vino, possono provocare intorbidamento, con odore e sapore sgradevoli.
     Alcuni di questi microrganismi si rivelano tuttavia utili in un caso particolare: nelle valli asciutte, all'epoca della vendemmia, la Botrytis cinerea o "muffa grigia" può diventare "muffa nobile", consumando molta acqua e acidi, arricchendo l'uva indirettamente di zucchero e apportando nuovi composti (es. glicerina). E' quanto succede, per esempio, nella Valle del Reno, nei Colli Romani, nella zona del Tokay d'Ungheria e in Francia dove si produce il Sauternes.

Anidride solforosa

     

L'uso di additivi chimici nella vinificazione non sarebbe necessario se l'uva vendemmiata fosse sempre perfettamente sana e se le cantine, i vasi vinari e gli attrezzi, con accurate pulizie periodiche, si potessero tenere sempre in situazioni di perfetta igiene; ma in pratica tali condizioni sono quasi impossibili (specialmente la prima), e per evitare gli inconvenienti di eventuali infezioni o alterazioni del mosto, e poi del vino, è utile l'impiego di certe sostanze che impediscono o limitano la diffusione dei microrganismi indesiderati. La più importante di tali sostanze è senza dubbio l'anidride solforosa (SO2), un gas che si sviluppa dalla combustione dello zolfo e che si trova in commercio sotto varie forme:
--liquefatto, in bonbolette con nebulizzatore ("spray") oppure in bonbole più grandi adatte all'uso nelle aziende idustriali; è necessario ricordare che le bonbolette non devono essere capovolte, perchè ne uscirebbe anidride solforosa liquida;
--solidificato in forma di sale, come bisolfito di potassio o metabisolfito di potassio (sali che contengono circa il 50% di anidride solforosa);
-- in soluzione acquosa, cioè come liquido costituito di anidride solforosa sciolta in acqua.
Si usa l'anidride solforosa soprattutto come additivo nel mosto per regolare la fermentazione alcolica, poichè ha il potere di inibire la vita microbica e specialmente quella dei batteri, delle muffe e dei lieviti indesiderati (cioè dei lieviti apiculati, che producono poco alcol ma grandi quantità di acido acetico); con dosaggi opportuni, resta invece inibita solo per qualche ora l'attività dei lieviti ellittici (saccaromiceti), che poi riprendono la fermentazione in modo meno tumultuoso, con una buona resa alcolica e scarsa produzione di acido acetico. La fermentazone così regolata consente anche un'efficace dispersione del calore che ne deriva; ciò è particolarmente utile nelle regioni meridionali, dove l'elevata temperatura ambientale potrebbe favorire lo svilupo di un calore eccessivo causando una fermentazione anomala e dannosa.
     L'anidride solforosa è pure un ottimo conservante per il vino: inibendo l'attività dei microrganismi lo protegge dalle infezioni, e inoltre svolge un'azione antiossidante preservando dall'ossidazione le sostanze coloranti, la cui integrità è necessaria per la limpidezza del vino; appena aggiunta al mosto (o al vino) lo decolora, ma questo effetto è transitorio e dopo quanche tempo, quando una parte del gas esce dal liquido disperdendosi nell'aria, il colore del mosto o del vino diventa più intenso.
     La quantità di anidride solforosa da aggiungere al mosto o al vino dipende dal grado di sanità del prodotto, dal grado di acidità, dalla temperatura della cantina. Alle uve poco sane si aggiungeranno (direttamente oppure nel mosto) 15-20 g/hl di anidride solforosa; questa dose è adatta anche per uve sane vinificate nei Paesi caldi e per le uve poco acide. Negli altri casi sono sufficienti 5-10 g/hl.
     La legge impone limiti ben precisi circa la quantità di anidride solforosa riscontrabile nel vino al consumo: 200 mg/l nel vino bianco e in quello rosato, 160 mg/l nel vino rosso. Tuttavia questo additivo può essere aggiunto al mosto in quantità superiore a quelle citate poichè almeno la metà dell'anidride solforosa non si ritroverà nel vino essendo volatile. La diminuzione di questo gas si verifica già durante la fermentazione alcolica a causa dell'aumento della temperatura e del trascinamento esercitato dall'anidriide carbonica a mano a mano che esce dal mosto. Non tutta l'anidride solforosa rimasta nel prodotto svolge le utili azioni descritte: infatti in parte si lega a vari componenti come gli zuccheri e, nel vino, l'aldeide acetica (anidride solforosa combinata); in parte subisce l'azione dell'ossigeno (anidride solforosa ossidata) proteggendo così gli altri composti; la parte rimantente (anidride solforosa libera), pur essendo presente in minima quantità, è quella che svolge l'azione inibente verso i microrganismi.
     Tra gli additivi consentiti dalla legge occorre ricordare anche la vitamina C (acido ascorbico), che si può aggiungere al vino come antiossidante ma è meno efficace dell'anidride solforosa; il limite legale è di 12 g/hl. Assai tutile è l'aggiunta contemporanea dell'anidride solforosa e della vitamina C.
     Come antifermentativo si può usare l'acido sorbico, cheimpedisce la vita dei lieviti ed è quindi utile per i vini dolci, perchè non permette la fermentazione del vino imbottigliato; non esercita invece alcuna azione inibitrice sui batteri, ma al contrario pare che talvolta ne stimoli la diffusione con la conseguente formazione di odori estranei (per esempio, odore di geranio). Il limite legale per l'acido sorbico è di 200 mg/l.




 

 

About Us | Site Map | Privacy Policy | Contact Us | ©2003 Company Name