Ammostamento
Pigiatura con i piedi
Lo schiacciamento o pigiatura dell'uva per mezzo dei piedi, nudi o vestiti di calzari adatti, è il metodo più antico e tradizionale per estrarre dagli acini il mosto da trasformare in vino, anche se ormai si preferisce quasi dappertutto la pigiatura meccanica con macchine apposite. Tale preferenza è tuttavia determinata solo da motivi economici e, soprattutto, igienici; tecnicamente, invece, la pigiatura con i piedi rimane insuperata per la leggerezza e sofficità dello schiacciamento, con cui si evitano gli eccessivi spappolamenti delle bucce e la rottura degli acini acerbi, ottenendo un mosto con poca feccia che darà un vino di particolare morbidezza. Lo schiacciamento con i piedi è quindi un metodo di pigiatura ancora accettabile, e per certi aspetti preferibile, nelle cantine familiari in cui si lavorino piccole partite d'uva. Occorre però ricordare qualche precauzione necessaria per una corretta esecuzione del lavoro e un risultato soddisfacente: il mosto appena uscito dagli acini deve essere subito allontanato dalla massa d'uva soggetta alla pigiatura, che tenderebbe altrimenti a scivolare sotto i piedi, perciò l'ammostamento va fatto in un recipiente che, attraverso un falso fondo, permetta tale separazione immediata (allo stesso scopo in Sicilia furono costruiti i "palmenti", vasche di pietra o di cemento con il fondo inclinato); inoltre è opportuno che il mosto sia subito immesso nei tini o nelle vasche di fermentazione in modo che questa abbia presto inizio, poichè la permanenza all'aria ne causerebbe l'ossidazione con effetti dannosi alla qualità del vino; per l'eventuale diraspatura dell'uva prima della pigiatura si possono soffregare i grappoli contro le maglie di una rete metallica (o di plastica) che lasci passare gli acini trattenendo i raspi.
Pigiatura con le macchine
I problemi igienici e altri inconvenienti della pigiatura con i piedi, come la lentezza del lavoro o la scarsa omogeneità è completezza dello schiacciamento, sono stati risolti o superati per mezzo delle macchine pigiatrici, con notevoli risparmi di tempo e fatica. Per le aziende enologiche minori, di tipo familiare e artigianale, esistono pigiatrici di piccole dimensioni che hanno una capacità lavorativa oraria di alcuni quintali e schiacciano l'uva facendola passare tra due cilindri scanalati, rotanti in senso opposto l'uno contro l'altro; queste macchine si possono collocare e usare direttamente sopra i tini o le vasche di fermentazione, oppure sopra le gabbie dei torchi nel caso di uve bianche, in modo da separare subito la parte migliore del mosto (mosto fiore) dalle parti solide dell'luva pigiata (raspi, bucce e vinaccioli).
Per ottenere mosti con minori quantità di parti solide in sospensione, e quindi vini più morbidi e ccon meno feccia, si può evitareche i raspi dei grappoli vengano pigiati insieme con gli acini adoperando una macchina diraspapigiatrice, che esegue appunto tale separazione prima della pigiatura.
Per l'ammostamento delle uve bianche, ma anche per la produzione di vini bianchi o rosati da uve rosse, esistono moderne macchine con elevata capacità lavorativa oraria: si tratta di torchi o presse che eseguono pigiature piuttosto soffici, senza frantumare le bucce degli acini e separando subito il mosto liquido dalle parti solide (anche in questo caso è opportuno che il mosto sia trasferito al più presto nei recipienti di fermentazione). Le presse, in particolare, possono essere riempite con grandi quantità di grappoli d'uva interi, direttamente dalle ceste o cassette di raccolta usate per la vendemmia.
Diraspatura
Con la separazione dei raspi dal mosto prima della fermentazione, o addirittura dagli acini prima dell'ammostamento, si ottengono vini meno tannici, cioè meno duri, ma più acidi; inoltre il processo fermentativo si svolge più lentamente poichè si ha una minor quantità di aria nella massa che fermenta.
La fermentazione con decorso più lento è auspicabile nelle zone meridionali, pechè consente una maggiore dispersione del calore che ne deriva e che potrebbe danneggiare la buona riuscita del vino.
La presenza dei raspi nel mosto in fermentazione è invece utile quando si voglia ottenere un vino di lunga conservazione, in cui il tannino ceduto dai raspi è tra i più importanti componenti necessari per un buon processo di maturazione e invecchiamento
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Sgrondatura
Per ottenere vini bianchi o rosati, scarichi di colore e di corpo, occorre separare dal mosto appena estratto le parti solide rimaste in sospensione nel liquido. Tale separazione può essere fatta per mezzo di macchine sgrondatrici, oppure chiarificando il mosto mediante centrifugazione ad alta velocità (4000-5000 giri/minuto); in entrambi i casi si otterrà un mosto meno torbido, da cui sarà più facile ricavare vino di particolare limpidezza.
Principali componenti del mosto
Per comprendere meglio il processo di trasformazione del mosto in vino, e per meglio conoscere il vino stesso, è utile sapere quali sono i principali componenti che costituiscono il mosto e le rispettive quantità mediamente presenti in un litro di liquido. Occorre ricordare che nel mosto sono stati finora trovati 600 componenti diversi e oltre a 2500 sostanze aromatiche.
Prima che abbia inizio la fermentazione che lo trasformerà in vino, il succo ricavato dalla pigiatura dell'uva può essere sottoposto a particolari trattamenti per ottenere diversi tipi di mosto, utili a determinati scopi, come il mosto concentrato, il mosto muto, il filtrato dolce, il mosto cotto ecc.
Il mosto concentrato si ottiene mediante disidratazione, poichè eliminando acqua si ha come conseguenza un aumento percentuale del contenuto zuccherino del mosto. A questo scopo si usano macchine apposite (concentratori) in cui l'acqua viene separata dagli altri componenti trasformandola in ghiaccio, con una refrigerazione del mosto a -10 °C; oppure per evaporazione, scaldando il mosto a 30-40 °C sottovuoto o per 10 secondi a 105 °C; si ottengono così mosti concentrati il cui contenuto di zuccheri può arrivare al 50-70%, ma con gli attuali processi tecnici si tende ad aumentare ancora la concentrazione per avere un mosto assolutamente privo di acqua, costituito di solo zucchero d'uva (mosto concentrato rettificato, o M.C.R.).
Il mosto muto è quello in cui non può avvenire la fermentazione alcolica dello zucchero; si ottiene aggiungendo al mosto determinate quantità di anidride solforosa (da 1a 5 grammi per litro), che inibisce l'attività di tutti i microrganisci, oppure di alcol (12-15%), con effetti analoghi. In questo modo si può conservare inalterato il mosto appena estratto dall'uva, per trasportarlo in luoghi lontani da quello d'origine; giunto a destinazione, il mosto muto dovrà poi essere desolfitato (con apparecchi desolforatori) affinchè i lieviti possano riprendere la loro normale attività e trasformare lo zucchero in alcol.
Il suddetto trattamento si usa di solito per i mosti ricavati da uve meridionali, ricche di zucchero, che vengono inviati al nord per la correzione di mosti poco zuccherini.
Un altro tipo di mosto non fermentabile è il filtrato dolce, che si ottiene dopo un parziale inizio di fermentazione, mediante successive filtrazioni con cui vengono eliminati i lieviti e le sostanze azotate.
Per la preparazione di alcuni vini particolari (come per esempio il Marsala) si usa il mosto cotto, ottenuto facendo bollire il mosto in apposite caldaie perchè assuma quel colore, odore e sapore caratteristici che il vino dovrà avere.
Il mosto che viene conservato invece di essere avviato alla normale fermentazione dovrebbe essere privo di contenuto alcolico, perchè l'alcol non è pesente nell'uva e si forma solo con la fermentazione dello zucchero. Tuttavia l'azione dei lieviti sullo zucchero dell'uva ammostata incomincia quasi subito, e processi fermentativi parziali, benchè minimi, possono ancora avvenire anche nei mosti conservati a basse temperature per qualche tempo; ciò accade, per esempio, nelle grandi aziende produttrici del Moscato dìAlsti, dove la vinificazione viene attuata poco per volta secondo le esigenze di mercato e il mosto inutilizzato è tenuto in apposite vasche refrigerate.
La legge tollera una quantità massima dell'1% di alcol nel mosto conservato (0,5% nel mosto concentrato rettificato); se il contenuto alcolico supera tale limite, rimanendo però inferiore ai 3/5 di tutto l'alcol che si avrebbe dopo una fermentazione completa, il mosto è detto "parzialmente fermentato", ed è simile al filtrato dolce.
Il Moscato d'Asti pur avendo un contenuto alcolico inferiore ai 3/5 di tutto l'alcol che si potrebbe formare è considerato vino e non mosto, secondo la legge che prevede questa eccezione.
Il mosto da trasformare in vino deve essere analizzato, prima che abbia inizio la fermentazione, per conoscerne la composizione e potere quindi rimediare a eventuali carenze.
Vediamo ora come si determina il contenuto percentuale dei componenti più importanti, che sono sopratutto gli zuccheri, gli acidi e le sostanze azotate.
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Zuccheri
Il contenuto zuccherino del mosto può essere determinato in tre modi.
1) Mediante un densimetro o mostimetro. Questo strumento è costituito da un'asta graduata che, immersa in un cilindro contenente mosto, affonda più o meno secondo la densità del mosto stesso, in modo inversamente proporzionale: quanto più il mosto è denso, cioè la percentuale di zucchero è elevata, tanto minore sarà l'affondamento dell'asta graduata, e viceversa. La quantità di zucchero è indicata dal mumero che si legge sull'asticella a livello della superficie del mosto. I mostimetri più diffusi sono il tipo Babo (di gran lunga il più usato in Italia) e il tipo Guyot.
2) Mediante un rifrattometro. Sono sufficienti, in questo caso, alcune gocce di mosto che, messe nello strumento, consentono l'immediata lettura della percentuale di zucchero.
3) Mediante l'analisi chimica. Questo metodo di determinazione del contenuto zuccherino, a differenza dei due precedenti, può essere usato solo in laboratorio: si tratta di un metodo preciso ma piuttosto laborioso per cui occorre la competenza di un tecnico specializzato. Nella pratica commerciale si usa indicare il contenuto di zucchero in gradi Babo o gradi zuccherini.
Parlando di mosti concetrati è consuetudine esprimere il contenuto zuccherino in gradi baumè o, abbreviando, gradi Bè corrispondono a una densità di 1,320 che significa 77% di zuccero in volume (e 58,35% in peso).
acidità totale
L'acidità viene determinata aggiungendo al mosto una sostanza alcalina (basica) come, per esempio, l'idrato di sodio (o soda). Immergendo nel mosto una sostanza detta indicatore, questa cambia di colore (si dice che "vira") quando tutti gli acidi del mosto sono neutralizzati dalla sostanza alcalina; s'interrompe allora l'aggiunta di soda, si ne annota la quantità utilizzata e, in rapporto a detta quantità, con un semplice calcolo si risale al totale degli acidi presenti nel mosto.
L'aggiunta di una base per neutralizzare un acido è detta "titolazione".
Sostanze azotate
Poichè le sostanze azotate costituiscono l'alimento fondamentale per i lieviti è opportuno conoscere la quantità presente nel mosto; a questo scopo è però necessaria un'analisi chimica che può essere fatta solo da un tecnico in un laboratorio, anche perchè è importante conoscere la quantità di azoto ammoniacale contenuta nel mosto in esame, essendo le sostanze azotate di più rapida assimilazione.
Importanza dei principali costituenti del mosto
Zuccheri. Il contenuto di glucosio e fruttosio negli acini di uva matura può arrivare fino al 30% nelle regioni meridionali, mentre in quelle settentrionali varia, secondo il clima, fra il 15 e il 22%. Dopo l'ammostamento dell'uva queste sostanze dolci subiscono la fermentazione per opera di microscopici funghi, i lieviti, producendo alcol etilico; perciò dal contenuto di zuccheri degli acini d'uva dipende direttamente la quantità di alcol nel vino che si ottiene dal mosto fermentato. Gli altri zuccheri presenti nel mosto non sono dolci e non fermentano; inoltre sono in quantità minime, del tutto trascurabili nella lavorazione del vino e prive di effetti sul suo sapore.
Sostanze pectiche (pectine), gomme e mucillagini. Tutte queste sostanze possono essere causa di intorbidimenti e vengono perciò separate dal mosto o dal vino mediante filtrazione o chiarificazione o centrifugazione; la loro presenza in quantità minime è tuttavia tollerabile e può anche contribuire alla morbidezza del vino.
Acidi. I componenti acidi del mosto sono particolarmente utili e importanti sia per i loro effetti sul gusto del vino, sia per la protezione che svolgono, contrastando la vita dei microbi e permettendo una buona fermentazione del mosto. Possono subire trasformazioni per attacco dei batteri e, in maniera minore, dei lieviti.
Polifenoli. Sono astringenti, hanno gusto leggermente amaro, svolgono azione di vitamina P e possono provocare intorbidamenti al vino. Ci sono vari tipi di polifenoli: Flavoni . Danno il colore all'uva bianca ma sono presenti anche nell'uva rossa; Antociani. Danno il colore all'uva rossa e al vino rosso; Leucoantociani. Sono ritenuti responsabili del colore del vino bianco; Tannini. Contribuiscono al colore del vino bianco e di quello rosso e sono, tra tutti i polifenoli, i più astringenti.
Sostanze azotate. Costituiscono un alimento indispensabile per quei microrganismi (lieviti) da cui dipende la fermentazione alcolica degli zuccheri; una loro carenza può infatti impedire l'avvio della fermentazione oppure la sua normale continuazione e conclusione. Possono tuttavia essere causa di intorbidamenti nel vino.
Aromi. Sono presenti in minime quantità nelle cellule interne delle bucce e in parte nella polpa di tutte le uve, e particolarmente abbondanti nelle uve dette aromatiche, come nel caso delle uve Moscato, Malvasia, Brachetto, Traminer ecc.
Vitamine. Sono quasi tutte presenti nel mosto e sono utili ai lieviti (per la loro crescita e moltiplicazione). Notevole è la quantità di vitamina P.
Elementi minerali. Combinandosi con gli acidi formano i sali, che rendono sapido il gusto del vino; molti di essi sono indispensabili per il nutrimento dei lieviti, mentre altri (potassio, calcio, ferro e rame) possono provocare intorbidamenti al vino.
Enzimi. Sono sostanze proteiche prodotte da ogni cellula vivente, perciò ci sono enzimi prodotti nell'uva e altri derivanti dai lieviti e dai batteri. Queste sostanze servono a stimolare e accelerare tutte le reazioni chimiche e la loro azione è determinante in ogni cambiamento che avviene nel mosto e nel vino. In particolare, la zimasi alcolica è l'insieme degli enzimi che intervengono nella fermentazione alcolica, cioè nella trasformazione degli zuccheri in alcol.
Aumento dello zucchero o arricchimento
Affinchè il vino possa essere commercializzato, la legge del Mercato Comune (che vale anche in Italia come in ogni Stato menbro)